A cosa servono i dialoghi

Se è scritto bene un dialogo porta avanti la vicenda, dando informazioni nuove al lettore o mostrando il carattere dei personaggi coinvolti; d’altra parte, però, se è scritto male, può ottenere l’effetto contrario e insabbiare il ritmo narrativo in chiacchiere inutili e ridondanti.

Un buon dialogo dovrebbe quindi assolvere ad almeno una delle seguenti funzioni:

1) portare avanti la storia, fornendo a un personaggio informazioni che prima non aveva, senza dover sempre ricorrere a sequenze narrative;

2) fornire informazioni sul tempo e luogo in cui si svolge la vicenda per contestualizzarla;

3) caratterizzare un personaggio, dandogli una sua “voce” distintiva;

4) far emergere in modo implicito il carattere e/o lo stato d’animo del personaggio;

5) far emergere, crescere o risolvere il conflitto fra personaggi;

6) ricreare un’atmosfera di vita vera, facilitando l’immedesimazione del lettore;

7) muovere il ritmo della narrazione.

 

Vediamo queste funzioni con un po’ di attenzione

1) Scrivere dialoghi per portare avanti la storia.

Il primo scopo dei dialoghi è dunque quello di portare avanti la storia, fornendo a un personaggio informazioni che prima non aveva, senza dover sempre ricorrere a sequenze narrative.

La sequenza del dialogo, infatti, permette di dare movimento al testo, anche dal punto di vista grafico, ed è quindi un’ottima scelta per dare al lettore informazioni nuove in un modo diverso dal semplice paragrafo narrativo.

Un errore molto frequente nella stesura dei dialoghi è però quello di riempirli di informazioni inutili o ridondanti per paura che il lettore non capisca. Gli inglesi lo chiamano info dump, ovvero sovrabbondanza di informazioni, e in narrativa è ciò che più di tutto allontana il lettore da un testo, perché lo fa sentire stupido, uno che non riesce da solo a capire tante cose.

In un dialogo il lettore deve capire gli stati d’animo e le relazioni. Il resto lo sa già perché ha letto le pagine precedenti, oppure lo capirà leggendo quelle successive.

Anzi, non dire tutto in modo esplicito all’interno di un dialogo serve proprio a mantenere alta la curiosità del lettore e spingerlo a continuare la lettura per saperne di più.

2) Scrivere dialoghi per contestualizzare la vicenda

Un altro scopo dei dialoghi è quello di fornire informazioni sul luogo e sul tempo in cui si svolge la vicenda in modo, per così dire, implicito. In questo modo puoi dare al lettore tutte le informazioni di contesto che vuoi (sul luogo, sul periodo storico, sulle relazioni tra i personaggi) senza far sentire la tua voce e lasciando che siano i personaggi stessi a parlare.

3) Scrivere dialoghi per caratterizzare un personaggio

Un altro scopo dei dialoghi è certamente quello di caratterizzare un personaggio, facendo emergere la sua “voce” distintiva. Attraverso il linguaggio che usa, costituito da quello che dice e da come lo dice, ogni personaggio acquisisce di fronte agli occhi dei lettori un suo carattere, una sua personalità.

Questo, se ci pensi, accade anche nella vita vera: appena senti parlare una persona che non conosci immediatamente e istintivamente ti fai un’opinione su di lei per quello che dice e come lo dice. Lo stesso vale dunque per i tuoi personaggi.

Attraverso le battute di un dialogo e il suo modo di parlare, un personaggio dà al lettore informazioni implicite riguardo alla sua personalità, al suo umore momentaneo, al suo bagaglio culturale, alla sua condizione sociale.

In una manciata di righe (e quindi di secondi) tutto questo determina la simpatia o l’antipatia, l’interesse o l’indifferenza che il lettore proverà per il personaggio.

Attraverso la caratterizzazione “vocale” dei tuoi personaggi puoi rafforzare la costruzione delle loro figure nello sviluppo complessivo del romanzo e differenziare un personaggio dall’altro, perché in fondo un personaggio non resta nella memoria del lettore solo per ciò che fa, ma anche e soprattutto per come è.

4) Scrivere dialoghi per far emergere lo stato d’animo dei personaggi

Scrivere dialoghi è un ottimo modo per far emergere lo stato d’animo, l’umore momentaneo dei personaggi, senza doverlo dire in modo esplicito.

La caratterizzazione psicologica di un personaggio è più efficace se avviene attraverso i suoi comportamenti, le sue reazioni e i suoi gesti, invece che attraverso una dichiarazione esplicita del narratore. È ciò che si intende con Show, don’t tell (mostra, non raccontare) e il modo migliore per mostrare un umore o uno stato d’animo è proprio quello di fare interagire il personaggio con altri.

Tornando all’esempio fatto all’inizio, se tu ascolti una conversazione tra persone che non conosci o tra personaggi di un film che non hai mai visto, molto probabilmente puoi non capire tutti i riferimenti che fanno nei loro discorsi, puoi non capire a chi o a cosa si riferiscono, ma sicuramente capisci subito se sono felici o tristi, arrabbiate o concilianti, nervose o calme, interessate o indifferenti.

Tutte queste informazioni vengono date dal modo in cui parlano, dal tono che usano, dai gesti che fanno. Un dialogo quindi non è mai fatto solo da cosa viene detto, ma anche dal come.

Questo vale nella vita vera e di conseguenza anche – e a maggior ragione – in un testo di narrativa, che quella vita la vuole proprio imitare. Come fare dunque per far emergere all’interno di un dialogo gli stati d’animo e gli umori di un personaggio?

Prima di tutto con qualche breve passaggio di accompagnamento tra una battuta e l’altra che possa spiegare come il personaggio in questione pronuncia una frase o reagisce alla frase ascoltata.

Se il tuo personaggio è arrabbiato, parlerà con frasi brevi e nette, perentorie o aggressive, poi magari si alzerà di scatto o batterà il pugno sul tavolo o uscirà sbattendo la porta.

Se il tuo personaggio è triste e malinconico, sospirerà, lascerà le frasi a metà, volgerà lo sguardo fuori dalla finestra verso un punto indistinto, oppure, al contrario, abbasserà la testa.

Se il tuo personaggio è nervoso risponderà con monosillabi, guardandosi continuamente attorno, si contorcerà le mani, fumerà la sua sigaretta con tiri brevi e ripetuti, o camminerà avanti e indietro per la stanza. Insomma, ogni emozione ha una gamma di reazioni che la rendono palese all’interno, per chi la prova, e all’esterno per chi osserva.

5) Scrivere dialoghi per far emergere il conflitto fra personaggi

Sicuramente i dialoghi sono il momento migliore per far emergere il conflitto tra due personaggi. Se due personaggi sono in lotta tra loro, non si sopportano, hanno litigato, sono in competizione o, per qualsiasi motivo, uno ostacola l’altro, è proprio facendoli incontrare e discutere che si riesce a dare risalto al loro conflitto.

Un dialogo acceso tra due personaggi è una scena importante che, nel giro di poche battute, può dare una scossa alla storia, può fornire informazioni utili, può mostrare il carattere dei due litiganti oppure può far scaturire nuove incomprensioni e fraintendimenti che alimenteranno poi le pagine successive.

Fai quindi in modo che protagonista e antagonista si scontrino verbalmente, e lascia che siano loro, con le loro parole, a spiegare al lettore perché si trovano su posizioni opposte, cosa li allontana, cosa pensano l’uno dell’altro.

Questo aiuterà a dare spessore ai personaggi, perché saranno messi in una situazione difficile e il lettore potrà vedere come reagiscono alle provocazioni, alle offese, come si comportano sotto pressione, come vivono ed esternano la delusione o la rabbia.

Inoltre, la scrittura di un litigio o di un diverbio può aiutare a creare nella storia tensione e suspense, perché il lettore avrà voglia di leggere ancora per scoprire se il fraintendimento viene chiarito, se i due si riconcilieranno, quando e come.

6) ricreare un’atmosfera di vita vera, facilitando l’immedesimazione

Inserire dialoghi significa aiutare il lettore a immedesimarsi nella vicenda e a sentire la storia come più “vera”, proprio perché nella vita reale noi facciamo tante cose, ma soprattutto ci relazioniamo con gli altri.

7) Muovere il ritmo della narrazione

Infine, un ultimo scopo dei dialoghi è quello di muovere il ritmo della narrazione, poiché le diverse sequenze hanno ritmi diversi.

Da una parte ci sono le sequenze narrative, dinamiche e veloci perché possono raccontare anche lunghi periodi di tempo e fanno andare avanti la storia.

Al polo opposto, le sequenze descrittive e riflessive sono sequenze lente o perfino statiche, perché rallentano o fermano del tutto lo svolgimento della vicenda per fornire elementi di caratterizzazione di ambienti e personaggi.

A metà strada tra le une e le altre si collocano invece le sequenze dialogiche, dette anche “scene”, nelle quali il tempo del racconto corrisponde al tempo della storia perché il tempo che i personaggi impiegano a parlarsi l’un l’altro è uguale al tempo che il lettore impiega a leggere il loro scambio di battute.

Inserire opportunamente sequenze dialogiche permette dunque di giocare con le diverse velocità delle sequenze e alternare passaggi in cui il tempo rallenta o corre veloce o va di pari passo con il tempo della realtà.

Scrivere dialoghi efficaci è un mestiere che si padroneggia con l’esperienza. Anzi, come dice Stephen King nel suo On Writing. Autobiografia di un mestiere, “scrivere bene i dialoghi è un’arte e non solo un mestiere”.