LE FERITE EMOTIVE

Scrivere per guarirle

Quale che sia la ferita emotiva che ci portiamo dentro, quella ferita è il varco attraverso il quale guardiamo il mondo, il filtro che mettiamo davanti l’obiettivo e che modifica la realtà, che ci dà la nostra lettura e la nostra visione di ciò che ci accade. Non è soltanto un dolore o una mancanza, è il nostro sguardo su chi siamo e quel che facciamo, l’alveo nel quale incanaliamo il flusso dei nostri giorni, le scelte quotidiane, i grandi impegni e i piccoli fatti. La ferita è il punto di osservazione che usiamo per interpretare ciò che accade a noi e al nostro mondo.

 

Nascondiamo la nostra ferita dietro tratti culturali, abitudini, parole e ci inganniamo dicendo a noi stessi – ancor prima che al mondo lì fuori – che una ferita non c’è. In questo modo però la rendiamo ancora più dolorante, ne ritardiamo – o forse impediamo del tutto – la guarigione. è così che portiamo avanti la vita, mettendo da parte ciò che più ci fa male.

 

Scrivere di te è anche riuscire a vedere la tua ferita, affrontarla, riconoscerla in quel che sei e fai, attraversarla e poi guarirla. Prenderne una salutare distanza. Vuol dire togliere quel filtro tra te e la tua vita, cambiare punto di vista e prospettiva, entrare davvero in relazione con la tua storia.

 

Sono cinque diversi laboratori, uno per ogni ferita:

 

 

La ferita da invasione

Fai ciò che ti dico, fai come a me piacerebbe che tu facessi, sii quello che a me piacerebbe che tu fossi, perché altrimenti potrebbe mancarti il mio amore, e tu desideri essere amato. Sii come voglio che tu sia, e io ti amerò.

Quando un genitore ti propone come vestirti e ti indica quali libri leggere e quali amici frequentare o no, ti invade. Quando ti consiglia e ti spinge verso un lavoro e quindi anche verso l’università che prepara a quel lavoro, ti invade. Quando ti suggerisce quale partito votare e in quali valori è opportuno credere, ti invade. Tu, dal canto tuo, per essere all’altezza delle sue aspettative e del suo amore ti lasci convincere che quel che ti propone è il meglio per te, lasci che ti invada e anche lo giustifichi, lo fa per te, lo fa a partire da una buona intenzione, lo fa perché della vita ne capisce più di te, lo fa perché sta pensando e scegliendo il meglio per te.

Intanto, però, invade. E quell’invasione diventa ferita, che ancora oggi ti porti dentro.

 

 

La ferita da abbandono

Pensare di essere abbandonati fa paura, anche se non ce lo confessiamo; ci stringe lo stomaco già da piccoli e resta lì anche quando di anni ormai ne abbiamo messi da parte tanti. Ci fa vedere soli, senza appoggio, senza nessuno che si prenda cura di noi. Sta lì, in disparte ma presente, come una vecchia zia che osserva qualunque cosa facciamo, sempre pronta a proporsi e fare da base a ragionamenti, pensieri, scelte, abitudini. La paura è lì, non fa niente per attirare l’attenzione, ma devia e indirizza la nostra vita, diventa radice di relazioni che viviamo, nelle quali stiamo male ma che teniamo vive: abbiamo bisogno di sapere che qualcuno per noi c’è, che abbiamo spazio nella vita di altri. Anche se quello spazio è tanto angusto da avere le misure di una cella. Anzi, ringraziamo la mano chi ci tiene chiusi lì dentro perché, anche se chiusi, ci siamo.

La paura dell’abbandono è una delle trappole in cui, senza rendercene conto, chiudiamo la nostra vita.

 

 

La ferita da privazione

Essere privati di qualcosa non è mai piacevole, il concetto di privazione in sé non è piacevole: vorremmo qualcosa, ma per un motivo o per un altro non possiamo averlo, o se lo abbiamo non riusciamo a goderne in pieno. Qualcosa ci ferma prima del traguardo della soddisfazione, e in noi si scatena una profonda scontentezza.

Non abbastanza cura, non abbastanza ascolto, non abbastanza attenzione, non abbastanza cibo, non abbastanza presenza, non abbastanza amore. Non abbastanza qualcosa, e la privazione diventa voragine. Hanno iniziato i genitori, a privarci del piacere di sentirci pienamente soddisfatti, poi è arrivato il mondo.

 

 

La ferita da vergogna

La ferita da vergogna si basa su un presupposto con il quale, chi più e chi meno, chi prima e chi dopo, ci scontriamo tutti: l’idea di non andare bene come siamo. È una ferita che ha forti tratti culturali, poiché il metro di paragone che usiamo è la cultura del luogo in cui viviamo, e se sento di non andare bene come sono le proverò tutte per aggiustare ciò che di me sento non all’altezza del mondo che ci circonda.

Guardarmi con occhi esterni, quali che siano quegli occhi, mi colloca dentro un circolo vizioso per il quale io come sono sento di non essere/valere/meritare abbastanza, e anziché dare corpo e valore a chi sono e alla mia unicità, così come sarebbe sano e necessario fare, rincorro modelli esterni. Che però non riuscirò mai a fare miei per il semplice fatto che io sono altro da quei modelli, e non è detto che quei modelli vadano bene per me.

 

 

La ferita da tradimento

Un tradimento non può esistere se non c’è prima un patto, un accordo, un legame d’amore o di amicizia che si basa sulla fiducia nell’altro e nella relazione e nel futuro di quella relazione. Il tradimento presuppone che una relazione tra due persone sia forte e riconosciuta, che sia basata su quella fiducia totale che ci permette di affidarci all’altro, una relazione che però conosce anche zone di buio, perché dell’altro con cui siamo in relazione non possiamo conoscere tutto, così come non possiamo conoscere il futuro che attende noi, l’altro e quella relazione. La mancanza di fiducia insita in chi ha la ferita da tradimento porta a non godere niente fino in fondo, a non lasciarsi andare, a non perdere mai il controllo perché è di controllo che si ha bisogno, e qualcosa di illimitato come l’amore diventa un territorio senza più spazio né libertà. Feriti nella capacità di esercitare fiducia pensiamo che se nella relazione ci sono ombre il problema sia l’altro. Senza sapere, o voler ammettere, che sull’altro proiettiamo le nostre paure, i nostri dubbi, le nostre tensioni. Non è l’altro il problema, siamo noi. Non ci sentiamo sicuri di chi e cosa siamo, non sentiamo che chi e cosa siamo meriti e possa dare profonda fiducia, e tutta questa insicurezza ci istilla il dubbio che l’altro possa lasciarci  per qualcosa di meglio.

 

 

La quota di partecipazione ad ogni singolo laboratorio è di 46,00 euro. Se però acquisti l’intero pacchetto di cinque incontri la quota totale è soltanto 210,00 euro.

 

I posti sono pochi, ad ogni laboratorio può partecipare un massimo di 12 persone. Per iscriverti e per avere informazioni mandami una email a info@scritturariparativa.it

 

Trovi tutte le date in Date&Luoghi.

 

 

 

 

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