19 Ago La bellezza e la necessità di essere unici
“Basterebbe scoprire come si è davvero, che cosa si pensa realmente di molte questioni della vita per scrivere un’opera originale e unica.”[1]
A volte si pensa che per scrivere qualcosa di originale e unico sia necessario inventare mondi estremi e fantastici, raccontare cose mai udite (ma ci saranno ormai cose mai udite?), cimentarsi in trame zeppe di colpi di scena inverosimili. Nella scrittura, l’originalità non è questa. L’originalità non sta nel raccontare qualcosa di inaudito, ma nello scrivere nel solo modo in cui valga la pena scrivere, il solo modo che può fare interessare a ciò che scriviamo: scrivere essendo se stessi, e usando la propria voce.
Essere se stessi, essere unici. Spesso dimentichiamo il valore della nostra unicità, preferiamo nasconderci nel gruppo, fosse anche un piccolo gruppo ristretto di amici: è più comodo e più sicuro, ci fa sentire protetti, ci dà l’illusione di essere in compagnia.
Questo avviene nelle relazioni, nelle scelte della nostra vita, nel nostro pensare e anche nello scrivere. E in tutti questi ambiti, che poi sono soltanto sfaccettature di qualcosa di più ampio e completo che potremmo chiamare vita, essere nel gruppo spesso appanna e toglie originalità a chi siamo veramente e alla nostra voce.
Ma cos’è la propria voce? È lo sguardo che abbiamo sul mondo, è il nostro modo di intendere la vita e le relazioni, è la cura che mettiamo nel guardare l’altro negli occhi, è la storia che ci ha fatti ciò che siamo, è la solitudine che ci prende certi momenti e lo struggimento e la voglia di urlare.
Sono le paure e le incomprensioni e le incertezze e i dubbi. Sono i momenti bui e le esplosioni di gioia. È il non dormire di notte seguendo un pensiero. È ciò che siamo. La nostra voce è chi siamo, è quel chi siamo che si deposita su carta.
Ma se non conosciamo davvero chi siamo la nostra voce non può venire fuori. Se censuriamo le nostre paure e esorcizziamo i dubbi e neghiamo la solitudine e ignoriamo chi ci viene vicino o ci uniformiamo a loro, se non abbiamo consapevolezza – parola scontata ma necessaria, consapevolezza – del nostro stare al mondo e del modo in cui ci stiamo, potremo scrivere pagine su pagine, ma in quelle pagine non ci sarà una voce.
Potremo vivere anni su anni, ma in quegli anni noi non ci saremo stati.
[1] Dorothea Brande, Diventare scrittori, Sperling&Kupfer, Milano, 2008, p.107
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