Show, don’t tell

“Uno dei punti cardinali del buon raccontare è non raccontare mai una cosa quando la si può invece mostrare.” (S. King)

In questo articolo mi muoverò fra il raccontare e il mostrare, provando a mettere in evidenza le differenze e i diversi usi dei due modi di scrivere.

Mostrare una situazione coinvolge il lettore e lo fa sentire parte attiva della storia. Il mostrato rimane impresso perché regala delle immagini chiare, quasi fotografiche, di quanto sta accadendo e permettono al lettore di farsi una sua idea attingendo al proprio repertorio di immagini e alle proprie conoscenze.

Mostrare drammatizza una scena in un racconto, facendo dimenticare al lettore che sta leggendo, aiutandolo a scoprire i personaggi, rendendo la scrittura più interessante. È come la differenza tra gli attori che recitano uno spettacolo e il solo drammaturgo, in piedi su un palco vuoto, mentre racconta dettagliatamente lo spettacolo al pubblico.

Se raccontiamo al lettore quali sono le emozioni del personaggio, gli diamo una lettura nostra, cioè non gli permettiamo di fare sua quella scena e di attribuire le sue emozioni al personaggio. È quando il lettore si sente libero di trasferire le proprie emozioni sul personaggio che scatta il processo di immedesimazione che fa sì che il lettore entri nella storia e la viva come se fosse propria.

“Il più vecchio motto sulla scrittura è “Non raccontare, mostra”. In termini di caratterizzazione significa che, invece di raccontare come sono i personaggi, (“Era malvagio”), bisogna rivelarli attraverso le loro azioni (“Prendeva a calci il suo cane tutte le mattine”). Raccontare è come sentire parlare di qualcuno; mostrare è come incontrare qualcuno.” (Donna Levin)

Nell’applicare la regola dello “show, don’t tell”, lo scrittore fa molto più che raccontare al lettore qualcosa su un personaggio: lo svela attraverso ciò che questi dice e fa. Il mostrare può essere ottenuto in diversi modi:

  1. scrivendo scene;
  2. descrivendo le azioni dei personaggi;
  3. rivelando il personaggio attraverso il dialogo;
  4. utilizzando i cinque sensi quando ciò è possibile.

Non è necessario descrivere tutto quello che il personaggio vede, sente, annusa, gusta e tocca, anzi è perfino sconsigliabile.  Quello che si può fare è decidere, scena per scena, qual è il senso più efficace per descrivere quello che sta accadendo. Perché il personaggio tocca, vede, annusa, assaggia qualcosa? Cosa dice questo gesto? E quale gesto, soprattutto, può veicolare meglio ciò che prova, ciò che si vuole il lettore comprenda?

Si possono scegliere un paio di sensi al massimo e concentrarsi su quelli. Scegliere quelli più significativi dato il contesto o, al contrario, compiere una scelta imprevista e, per esempio, descrivere con il gusto qualcosa che normalmente si sarebbe descritto con la vista.

“Il bravo scrittore (…) deve essere capace di mostrare i sentimenti che i personaggi provano senza dirli in modo esplicito, bensì facendoli venire fuori dalla descrizione dei gesti, degli atteggiamenti, del comportamento. (…) Quando scriviamo, dobbiamo sempre ricordarci che la descrizione di un semplice gesto è più eloquente ed emotivamente più forte rispetto al dire esplicitamente i sentimenti che i personaggi stanno provando in quel momento” (Claudia Masia)

“Non dirmi che la luna splende; mostrami il riflesso sul vetro infranto”. Anton Cechov

Non è necessario focalizzarsi sulla scena, se la trama non lo richiede. Non è necessario essere truculenti, grotteschi o verbosi. Anzi: lo Show don’t tell è efficace se conciso. Il punto è sviluppare azione per azione ciò che sta accadendo. Ricreare tali immagini nella mente del lettore man mano che si dipanano nella narrazione.

“Mostra ogni cosa ai lettori, non dir loro nulla”. Ernest Hemingway

Attenzione, però. Show don’t tell significa comporre sequenze visuali, ma non descrivere immagini statiche. Queste sono preferibili al raccontato, ma sono una forma piatta e scialba di mostrato. Le immagini statiche rallentano il ritmo, poiché non fanno progredire la sequenza in atto. Poi, esercitano un impatto minore sul lettore. L’azione le rende più vivide, le relaziona al contesto, permette di associare più stimoli sensoriali contemporaneamente. Insomma, il dinamismo risulta senz’altro più stimolante ed efficiente.

A proposito di immagini concrete: Show don’t tell implica l’uso di termini precisi, al contrario della vaghezza che contraddistingue il raccontato.

Scrivere mostrando significa abolire le parole inutili, quelle che non aggiungono nulla alla scena, e soprattutto i termini aulici o altisonanti. Secondo il principio d’immedesimazione, tutto ciò che distrae dalla scena e dalla narrazione è considerato errore, poiché spezza la magia dell’immersione del lettore negli eventi e nel personaggio.

Aggiungere fumo annacqua la narrazione. Per non parlare dell’assoluta trasparenza che deve vigere nel testo, per la quale il lettore deve capire al volo e non dubitare di ciò che legge.

“Non dire che la vecchia signora gridò. Mandala in scena e lasciala urlare”. Mark Twain.

L’accuratezza è estremamente importante, soprattutto quando si parla di verbi: bisogna usare quello giusto, sempre, in modo da non doverlo correggere con ulteriori aggettivi. Pensateci: meglio tagliare di netto le dita con una mannaia o tranciarle? Meglio leggere un libro tutto d’un fiato o divorarlo? Meglio farsi rossi in faccia o arrossire? Meglio mangiare con una grande foga o ingozzarsi?
L’uso di verbi appropriati separa una scrittura generica da una d’impatto.

A proposito di verbi: quando si narra al passato, è preferibile l’uso del Passato remoto rispetto all’Imperfetto. Il perché è presto detto: il primo definisce azioni compiute; il secondo definisce azioni «considerate nello svolgimento, nella durata, senza riferimento all’inizio, alla conclusione o allo scopo». (Da Treccani).

L’Imperfetto è adatto al raccontato. “Mangiavo”, “dormivo”, “dicevo”, “andavo”…
Il Passato remoto è adatto allo Show don’t tell. “Mangiai”, “dormii”, “dissi”, “andai”…

Parlavamo, poi, di nettezza nella prosa. Possiamo fare un passo in più per definire l’essenza stessa della terminologia evocativa: sensorialità. Un verbo o un aggettivo, per stimolare il lettore a dovere, devono suscitare la risposta di uno dei cinque sensi.

Non dimenticate che Show don’t tell non significa descrivere immagini al lettore, ma creare immagini nella mente del lettore. Questa è una differenza fondamentale.

Non scrivete che un personaggio è triste, felice, depresso… mostrate le lacrime che scorrono, le risate fragorose, la fiacchezza fisica e mentale. Mostrate quell’energia che fa ballare, che fa impettire, che fa raggomitolare o tremare dalla testa ai piedi.

Funziona così, nella vita: se una persona ci dice che è triste o felice, non proviamo nulla. Se la vediamo piangere a dirotto, l’empatia ci sincronizza su quella tristezza. Lo stesso dicasi della gioia, che si definisce contagiosa.

(ringrazio il web per avermi fornito spunti)

 

 

Francesca Di Gangi
f.digangi@tiscali.it

Mi chiamo Francesca Di Gangi, ho poco più di cinquant’anni e sono sociologa, formatrice e counselor relazionale di formazione rogersiana. Sono anche laureata in Psicologia, e sono l’autrice del metodo Scrittura Riparativa® Da quasi trent’anni affianco le persone che hanno voglia di stare bene con se stesse e nelle relazioni, e le accompagno nell’affrontare le proprie emozioni. Principi imprescindibili del mio lavoro – e del mio modo di essere – sono l’empatia, il rispetto incondizionato, l’accoglienza, l’attenzione all’altro, l’ascolto, condensati adesso nel metodo della Scrittura Riparativa e terapeutica.