Scrivere l’arcobaleno

Sembra che nel mondo di coloro che scrivono ci siano due grandi correnti, quella di coloro che scrivono per raccontare storie, e quella di coloro che scrivono di sé.

A ben guardare, questi due mondi non è che siano poi così distanti, perché chi racconta storie comunque mette se stesso in quelle storie, e chi scrive di sé comunque racconta. Ciò che li differenzia è il tipo di prodotto scritto che ne viene fuori, e soprattutto il processo che ha portato a quello scritto.

Chi racconta, pur mettendo ricordi e valori e conoscenze in ciò che scrive, non è detto che compia un percorso di esplorazione personale. Vuole raccontare una storia, quindi crea un protagonista, gli dà un bisogno e un desiderio, gli costruisce intorno un mondo ordinario e poi uno straordinario, gli confeziona un’avventura e poi un finale che molto probabilmente lo vedrà vincitore.

Per chi scrive partendo da sé e volendo scrivere di sé senza però svelarsi troppo,  quella che ho appena descritto è la scrittura finzione, quella scrittura nella quale l’inventare trama e personaggi  è un modo perché avvenga il transfert di pezzi del sé e della propria esperienza su personaggi inventati.

Oltre alla scrittura finzione, chi scrive di sé ha l’opportunità di scegliere altri diversi tipi di scrittura, tutte incentrate sui modi possibili di dare voce al sé. Uno di questi è il memoir, ma i modi per scrivere di sé sono tanti e diversi. Ciò che hanno in comune è la possibilità che offrono di raccontare e rivivere in prima persona, senza dover celare ricordi ed emozioni dietro personaggi e storie inventate.

Non disdegnando io stessa la scrittura finzione, che anche pratico, ho deciso però di dedicarmi soprattutto a fare da guida a chi utilizza la scrittura di sé più diretta. Non perché la finzione e le storie non mi piacciano, anzi. Ma perché so, e ho provato sulla mia pelle, che scrivere di sé è il modo migliore per affrontare il passato e i dolori che vi teniamo racchiusi, di trattare i traumi, di  fronteggiare per poi congedare quanto di non funzionale ci portiamo ancora dentro. Per riparare un passato del quale ci facciamo ancora vittime, archiviarlo e quindi vivere il presente che ci è più congeniale e goderci una vita molto più serena.

Scrivere di sé può non essere indolore. “Tutti vogliono la felicità, nessuno vuole il dolore, ma non si può avere un arcobaleno senza un po’ di pioggia”. Così scriveva Gibran, e credo proprio che avesse ragione.

Anche la scrittura di sé funzione così: porta a scoprire l’arcobaleno, e a volte anche a dissotterrare la pentola d’oro nascosta lì dove esso nasce, ma è necessario sopportare la pioggia, stare fermi nel freddo di quell’acqua che arriva addosso e piangere con essa.

A gennaio si avvia il nuovo anno di scrittura e di workshop di Scrittura Riparativa®, e se volete può essere un modo per scoprire l’arcobaleno e dissotterrare la vostra pentola d’oro.

Sul sito trovate tutte le indicazioni, qui aggiungo soltanto i miei auguri, col cuore.

 



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