04 Mar Scrittura come rivoluzione
È giornata di elezioni, oggi. Il cielo è grigio come da giorni ormai, e da casa ascolto il silenzio urbano della domenica. Fra poco andrò a votare. Non ho mai mancato un’elezione, non mancherò nemmeno questa. Intanto, però, guardo il grigio fuori dalla finestra e penso. Chi votare, certo. Ma anche cosa sia la politica oggi. Politica come cura della polis e del bene comune, intendo. Come prendersi cura di ciò che è fuori da casa ma che in casa entra, perché – ci si possa credere o no – non c’è soluzione di continuità fra pubblico e privato. Viviamo immersi nel pubblico, che non sono soltanto strade piazze e uffici. Il pubblico sono emozioni, che da quell’esterno domestico che è la televisione debordano fino al divano di casa e ci fanno indignare o piangere o sorridere o restare indifferenti, o che tolleriamo così poco da spegnere o cambiare canale. Sono parole e luoghi comuni e frasi fatte, nelle quali non ci riconosciamo ma che continuiamo a sentire come un ronzio in sottofondo, fino a quando non ne cogliamo più l’oscenità, fino a quando non le sentiamo più e non ci suscitano più reazione. Il pubblico sono facce, e vite, e storie che sfioriamo per strada e dalle quali forse ci lasciamo abbordare, ma non sempre per dare ascolto e accoglienza.
Mi domando cosa siano la politica e l’impegno politico oggi, quando il nostro valore di persone è scaduto al mero valore delle merci che possiamo acquistare e noi tenuti in conto solo in quanto consumatori e funzionali al sistema quale è diventato.
Mi domando poi cosa possa fare io, per incidere di almeno un poco sul quel pubblico di cui faccio parte ed esercitare il potere di quell’uno che valgo.
Il mio voto vale uno, come quello di tutti, ma è la somma di uno più uno più uno che fa i grandi numeri. Per questo fra poco andrò a votare.
Anche il mio lavoro vale uno, produce per me, ma incide sulle persone che incontro ogni giorno. Ed è il mio lavoro che, oggi, posso far diventare qualcosa di rivoluzionario.
Scrittura come rivoluzione. Scrittura per lavorare con le proprie emozioni, acquisire consapevolezza del proprio modo di essere, liberarsi delle peggiori tracce del passato e poter finalmente essere liberi di essere se stessi. Scrittura che ha un valore politico, ma nel senso che dicevo sopra, il senso originario della parola di cura del bene comune. Nei laboratori di Scrittura Riparativa (e non è un caso che non si tratti di corsi ma di laboratori) chi scrive non è il consumatore finale di un corso messo su per il miraggio del quarto d’ora di celebrità, ma una persona che scrive. Ciò che importa non è il prodotto che verrà fuori, il racconto o il memoir o qualunque altra forma la scrittura possa prendere, bensì la scrittura stessa e la persona che tiene in mano la penna e scrive. Scrive di sé, della sua vita, delle sue emozioni, dei suoi pensieri, e in quella scrittura ritrova se stesso e parti di sé che forse aveva accantonato.
Questo è il valore nella scrittura che propongo: prendersi cura di chi scrive, al di là di ciò che scrive. Prendersi cura della persona, più che del prodotto.
Scrittura che oggi è rivoluzione, appunto.