08 Feb Prendersi cura
Stamattina un’amica di facebook mi scrive su messenger. Ha letto i miei ultimi post, sa del mio occhio e di come ho vissuto la paura delle settimane di Gennaio. Mi scrive che ha letto il mio “cuore” (così lo scrive, fra virgolette) e che leggere le ha smosso qualcosa e paragona l’effetto del mio post a due libri che ha letto e per lei è un dono bellissimo.
Non capisco. Cosa c’entro io con Viola Ardone e Alessandro D’Avenia? Le scrivo. Mi risponde, mi racconta di cosa c’è in quei due libri che, confesso, non ho letto. Continuo a non capire, non trovo assonanze. Sì, ma cosa di quel che ho scritto mi collega a quei libri?, le chiedo ancora.
La nudità.
La generosità.
È un dono e in tempi di grande paura è l’unica strada.
Queste tre frasi, la sua risposta. Così. Inizio a comprendere, anche se mi sento avvolgere da qualcosa che mi sembra eccessivo, io non avevo fatto niente di ciò di cui mi ringrazia. Io avevo scritto di me. Avevo trovato il modo di raccontare quello che stavo vivendo, l’unico modo che avrei potuto sostenere. Avevo scritto. Avevo affidato a silenziose parole scritte la paura e il racconto di quei momenti, racconto che non avrei tollerato di fare a un interlocutore, a qualcuno di cui avrei dovuto poi sostenere la risposta o lo sguardo. No, avevo scritto nel silenzio e affidato alla corrente le mie parole, trovassero loro chi avrebbe voluto leggerle.
La nudità.
La generosità.
Non mi sentivo nuda mentre scrivevo, anche se forse lo ero. Ancor meno generosa. Mi stavo solo prendendo cura di me. Con l’unico mezzo che conosco e che, ormai so per certo, mi sa curare: la parola scritta. Che uso per me e che insegno a usare, a chi si fida e non ha paura di quel che può trovare.
Che poi le mie parole possano curare anche altri, ne sono felice. Davvero.