22 Nov Piccoli moti verso la scrittura (e verso la propria voce)
Per scrivere abbiamo bisogno di fiducia. Nella nostra idea, nella nostra capacità di tradurla in una storia, nel nostro saper stare nella scrittura. In noi stessi e nel cambiamento che faremo.
Scrivere è una lunga continua scoperta. Non solo di ciò che scriviamo, ma anche di noi che stiamo scrivendo. Ci ritroviamo diversi, dopo avere scritto. È l’atto stesso dello scrivere che ci fa diversi, ed è per scrivere che vale la pena scrivere. Non per pubblicare, ma per scrivere.
Chiunque senta che scrivere è importante, chiunque creda di avere la vocazione a scrivere lo deve fare. Vivrebbe a metà se non lo facesse. Ma senza perseguire la pubblicazione. Quella, se dovrà venire, verrà. Intanto è necessario scrivere, far crescere la propria voce, ascoltare ciò che si ha dentro e che si scrive, sentirne il ritmo, aprirsi al mondo.
La scrittura, un certo tipo di scrittura, ha capacità curativa e riparativa, e noi dobbiamo consentirle questa capacità. Mostrarsi e buttare sulla pagina paure e angosce e sogni e tutto quanto si ha dentro è il modo per consentire alla nostra scrittura di crescere, prendere respiro, diventare quella vita che su carta vogliamo dare a noi stessi ancor prima che ai nostri lettori.
Qualunque scritto deve essere vita che pulsa, deve far eco, deve risuonarci dentro. Altrimenti non è buona scrittura.
C’è chi pensa che per scrivere occorra frequentare tutti i possibili corsi di scrittura creativa sul mercato. Non è così. Anzi pretendere di imparare da altri può nuocere, può distrarre dalla nostra voce interna, da quel che veramente vogliamo narrare anche se forse ancora non lo abbiamo ben chiaro. Dal nostro modo di narrare.
A scrivere si impara scrivendo.
Non serve altro. Serve sedersi a scrivere, abbordare la scrittura con ciò che viene prima e poi raffinarsi, scrivendo. Scendere sempre più in profondità, arrivare alla nostra vera voce. L’unica che il mondo lì fuori potrebbe avere voglia di leggere, e ascoltare. Iniziando dalle cose più semplici. Da un ricordo, un rumore, una traccia di luce che vediamo entrare dalla finestra. Iniziamo da lì.
Trovare la propria voce è come dire vedere coi propri occhi, odorare col proprio naso, toccare con la punta delle dita e la concentrazione di chi non ha altri sensi. La propria voce, quella che traduce chi davvero siamo nella nostra scrittura, è la risposta alla domanda più vecchia della storia: che senso ha? Scrivendo diamo senso, troviamo un senso.
“Nel Vangelo gnostico secondo Tommaso, per chi lo ritiene attendibile, il buon vecchio Gesù dice: ‹‹Se esprimete quel che avete dentro, ciò che esprimete vi salverà. Se non lo esprimete, ciò che vi tenete dentro vi distruggerà››. La verità dell’esperienza può scaturire solo per mezzo della vostra voce.”[1]
La vostra voce. Vostra. Non quella di chi vuole convincervi e continua a dirvi come si scrive, o come si vive, o come ci si comporta e cosa è bene e cosa è male. La vostra voce, quella che emerge dai vostri luoghi oscuri, non dal luogo oscuro di qualcun altro.
È bene che questa cosa la impariamo subito. Chiunque scrive, scrive per sé e partendo da sé. Nel cercare la propria voce affronta le proprie paure, e quando arriva il momento in cui sente di non farcela è proprio quello il momento di continuare. Puntare dritto alla paura, non darsi alternative se non scrivere.
È così che emerge la voce.
Anne Lamott, Scrivere, De Agostini, Novara, 2011, pag. 203