15 Feb Otto parole
Ragionavo di cosa sia il parlare oggi, e quante vuote chiacchiere siamo costretti ad ascoltare. Lo facevo sulla scorta di una pagina di non ricordo più chi, una scrittrice che scrive di scrittura, che raccontava di essere fuggita da un ristorante quando si era sentita sopraffatta dal rumore delle troppe parole. Forse non ce ne rendiamo più conto, eppure viviamo assediati da parole, da ovunque esse provengano. Come se non fossimo più capaci di tollerare il silenzio e il pensiero che viaggia con esso, riempiamo ogni attimo di suoni e frasi. Sono però parole che tolgono lucidità, annebbiano, ottundono come fossero bicchieri del peggior vino in cartone. Guardatevi intorno, e ascoltate: la gran parte delle persone non valuta più la profondità del ragionamento o il suo spessore logico, ma la quantità e il volume di parole usate. Il numero fa ragione. I decibel fanno ragione. Eppure. Eppure le parole valgono per ciò che ne facciamo, e se è diffuso il loro uso come sedativo di massa, c’è anche un uso che va nel senso contrario. Le parole come canale di scoperta di sé, e dell’altro anche. Parole calme, morbide o anche sofferte, che però salgono dal cuore e lì tornano, parole che sanno avvicinarci al nostro vero sé. Parole che scopriamo nel silenzio e no, non è un ossimoro, perché il silenzio è necessario per dare forza e valore alle parole. Parole scritte, ad esempio. Parole che raccontano a noi stessi chi siamo, e ci riconnettono con il nostro sentire più profondo. Ragionavo di tutto questo con le persone che frequentano il laboratorio. Donne speciali, ognuna a suo modo. Combattive e resilienti, ognuna nel suo modo. A un tratto una di loro ha preso la penna, il viso illuminato, ha appuntato ciò che dicevo. È una sensazione strana, vedere qualcuno che sente il bisogno di fermare ciò che dico. È vero, ci metto passione e studio e riflessione in ciò che faccio, ma che qualcuno lo ritenga degno di essere annotato mi meraviglia. E invece. “Hai detto una cosa bellissima”, mi dice S. con l’espressione di chi ha fatto una scoperta. Mi stupisco. Non mi sembrava di aver detto niente di così buono. Anzi, domando: ma cos’è che ho detto? Me lo leggono. E poi ancora. E una volta di più ho la sensazione che, se siamo in armonia con noi stessi e ciò che facciamo e le persone con cui siamo, diventiamo solo strumento di un sentire più grande. “Le parole riempiono vuoti ma non creano ponti”. Ecco quel che avevo detto. Otto parole. Dentro però c’è un mondo, lo riconosco. Così come riconosco che le parole possono creare ponti, eccome. Dipende da quali parole siano.