Nuotare sott’acqua

“Scrivere bene è sempre nuotare sott’acqua e trattenere il fiato”.[1] Immaginate una piscina, dieci corsie, in ognuna un nuotatore. Si tuffano, la gara inizia. Bracciate vigorose una dopo l’altra, i nuotatori arrivano a fondo vasca, tornano indietro. Pochi minuti e la gara finisce. Spettacolo bellissimo, niente da dire. Però tutto ciò che avete immaginato, la gara e i nuotatori e la vittoria, è avvenuto in superficie. E stare in superficie è ciò che chi scrive non deve fare. Quindi, adesso che avete immaginato la piscina e i nuotatori, scordatevene e scendete sotto. Scordatevi della piscina, così liscia e regolare e sorvegliata. Scordatevi le bracciate cadenzate. Scordatevi la respirazione regolare e potente. È negli abissi che dovete scendere, lì dove l’acqua si fa scura e non avete idea di cosa potreste trovare, e anzi avete paura di quel che potrebbe esserci là sotto. È giù che dovete andare, lì dove non ci sono più rumori, soltanto il battito del vostro cuore. Prendete fiato, e buttatevi. Ben sapendo che farete fatica a scendere, che qualcosa potrebbe riportarvi a galla e allora dovrete sperimentare un peso, un aggancio, qualcosa che vi aiuti ad andare giù. Ben sapendo che poi potreste fare fatica a riemergere, che potreste restare a corto di ossigeno, che nessuno potrebbe credere che siete scesi lì sotto, e cosa ci avete trovato. Prendete fiato e buttatevi giù, nuotate dove l’acqua è più profonda. Fidatevi del vostro fiato, delle vostre braccia, della vostra capacità di nuotare soli.

 

 

[1] Fitzgerald Francis Scott, Le belle storie si scrivono da sole, Guanda, Parma, 1993, pag. 15



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