01 Nov Narrazione autobiografica e memoir: fratelli diversi?
Sembra a volte che anche gli addetti ai lavori – che dovrebbero essere coloro che hanno le idee un po’ più chiare, ma non sempre è così – facciano parecchia confusione fra le scritture che girano intorno alla scrittura di sé, e soprattutto fra quel che dovrebbe essere la narrazione autobiografia, e quel che invece è il memoir.
In una accezione spicciola e poco curata i due termini vengono assimilati, come se potessero significare la stessa cosa: la narrazione di una serie di eventi vissuti da chi scrive. In realtà, la differenza di significato fra i due termini è notevole.
Una narrazione autobiografica è il racconto in sequenza dei fatti importanti avvenuti nella vita di chi scrive. Spesso inizia dalla prima infanzia, o addirittura dalla nascita, e può risalire anche alla vita dei genitori o delle famiglie d’origine. È chiaro già qui che il ricordo e la memoria di chi scrive in questo genere di scrittura cedono il passo alla necessità di dati fattuali. Di certo chi scrive non ricorderà il momento della sua nascita, né la giovinezza dei genitori né le loro vite nelle loro famiglie d’origine, ma avrà raccolto dati e informazioni che gli hanno permesso di ricostruire le vicende che narra nel modo più aderente possibile alla realtà. Inoltre, la narrazione è cronologica e attraversa l’intera vita di chi scrive, o del soggetto della narrazione in caso della biografia, fino al momento in cui l’autobiografia viene scritta o, in caso di biografia di un personaggio già deceduto, della sua morte. La forma autobiografica poi è molto attenta al dettaglio, alla ‘verità’ dei fatti che vengono raccontati, che dovrebbero essere resi nel modo più obiettivo possibile.
Un memoir, invece, è una narrazione che prende spunto dalla memoria emotiva di chi scrive. È questo il motivo per il quale la scrittura del memoir non deve obbedire né a progressione cronologica del raccontare, né a una ‘verità’ dei fatti. Ciò che importa è ciò che emerge dalle emozioni di chi racconta pezzi della propria storia, i fatti così come la memoria li ripropone, anche se il ricordo che si ha di quel determinato fatto si discosta da quel che è ‘veramente’ accaduto.
Nel memoir l’attenzione non è sul racconto ordinato e causale delle vicende della vita, ma nella loro esposizione per il valore emotivo che vi ravvisa chi scrive. I ricordi possono affiorare nella narrazione senza alcun criterio ordinante, se non quello che la narrazione stessa dà. Se chi scrive ha raccontato un episodio dei suoi vent’anni, e poi a questo episodio ne lega uno dell’infanzia perché vi ritrova un nesso, e poi torna a memorie dell’età adulta, sta soltanto seguendo il proprio filo delle emozioni, che nessuno può contestare.
Anche nella narrazione del memoir il dettaglio è importante, così come nell’autobiografia; il dettaglio inteso qui però non è il dettaglio che indica la veridicità del fatto raccontato (il giorno che sono nata era un mercoledì, chi volesse può controllare il calendario del mio anno di nascita e vedere che è vero: questo è un dettaglio autobiografico), ma il dettaglio che dà luce alla scena, quello che permette di ‘mostrare’ ciò che chi scrive vuole raccontare, quello che rende il lettore partecipe.
C’è da dire poi che nel memoir gli eventi raccontati non è necessario che siano stati vissuti in prima persona da chi scrive, perché nella memoria di ognuno di noi ci sono ricordi che possono non appartenere alla nostra vita, ma comunque sentiamo ne facciano parte.
Prendiamo il caso dell’attentato alle Torri Gemelle di New York. Per chi avesse vissuto quel dramma in qualche modo in prima persona, perché si trovava a New York in quei giorni o perché un parente o un amico lavorava lì o per aver prestato soccorso o per chissà quale altro motivo, potrà fare di quel dramma un racconto autobiografico.
Tutto il resto del mondo, direi tutti noi che non siamo stati toccati da quel crollo in maniera diretta ma vi abbiamo assistito stupiti e impotenti dallo schermo della televisione, abbiamo comunque avuto un impatto emotivo molto forte da quello che successe l’11 settembre; non è un caso se tutti ricordiamo quella data, ma ricordiamo anche cosa facevamo quel giorno e nel preciso momento in cui abbiamo visto l’aereo abbattersi sulla prima torre e poi disintegrarsi, dove e con chi eravamo, quali sono state le nostre emozioni nell’assistere a quel disastro, quale sia stato il nostro stato d’animo quel giorno e nei giorni seguenti. Ecco, quello del crollo delle Torri Gemelle è l’esempio pratico del ricordo di qualcosa che, seppur non ci abbia visti coinvolti in prima persona, sia comunque radicato nella nostra memoria. L’11 settembre potrebbe essere un pezzo del memoir di ognuno di noi, se per noi è stato qualcosa di emotivamente significativo, ma potrebbe a pieno titolo entrare nell’autobiografia soltanto di chi quel dramma l’ha vissuto.
Ancora una differenza fra autobiografia e memoir, ma questa volta con un occhio al mercato editoriale. Poiché, come detto, l’autobiografia racconta fatti e dettagli di una vita, è facile che sia scritta da un personaggio noto che voglia svelare aspetti di sé e della propria storia poco conosciuti al grande pubblico. È da poco in libreria l’autobiografia (scritta in collaborazione con chi un libro lo sa scrivere) di Francesco Totti. Di qualche anno fa, invece, quella, bellissima, di Andrè Agassi, raccontata in Open. È facile che questi libri, al di là del loro intrinseco valore letterario, invoglino il grande pubblico all’acquisto e di conseguenza diventino best sellers, perché già la fama di chi è raccontato garantisce un certo numero di vendite.
Un memoir, invece, per poter aspirare a diventare un best seller deve puntare su altre qualità. Di certo, non sulla notorietà dell’autore. Non che una persona nota non possa scrivere un memoir, ma non è quello che farebbe di un memoir un successo editoriale. Ciò che fa apprezzare un memoir e ne potrebbe spingere le vendite è che in quelle pagine chi scrive abbia saputo rendere qualcosa di molto personale ma al contempo universale, come sono certe emozioni, e abbia saputo svelarle al mondo toccando l’intimo di ogni lettore. La magia avviene quando nel racconto di memorie così personali chi legge ritrova le proprie emozioni e ripercorre il filo delle proprie esperienze, trova pezzi di sé.
Che poi, a pensarci bene, è ciò che ogni buona narrazione dovrebbe saper fare.