La scrittura si fa con la scrittura

Una leggenda racconta che solo chi ha talento può aspirare a scrivere, tutti gli altri se ne stiano ben lontani dal pensare di poterlo fare. Cosa sia il talento non è ancora ben chiaro. Un’attitudine? Una passione latente che finalmente esplode? Il Daimon che si esprime in modo sfacciato e precoce? Forse tutto questo, forse tanto altro. Comunque se di talento dobbiamo parlare, fortunato chi ne è dotato. Ciò però non vuol dire che chi non si senta baciato dal talento non debba poter scrivere.

Nessuno è nato architetto, né chirurgo, né idraulico né casalinga: a fare si impara. Ci vuole studio, e soprattutto applicazione. Nessuno dei grandi pittori del passato era talmente dotato di talento da non aver avuto bisogno di imparare: tutti hanno frequentato la bottega, hanno imitato, hanno iniziato a usare i pennelli e a dosare i colori, hanno riempito fogli su fogli di sgorbi e disegni sgraziati prima di poter riuscire a tirare fuori qualcosa di buono. Anche Giotto, per dire, andò a bottega.

Anche a scrivere si può imparare. E, come dicono coloro che con la scrittura hanno una certa frequentazione, a scrivere si impara scrivendo. Funziona come con l’allenamento per una maratona. Non si possono percorrere 42 chilometri il primo giorno che si scende in strada. Si inizia con pochi chilometri, andatura lenta, fiatone. È talmente faticoso e fuori dalla nostra portata che tornando a casa pensiamo che partecipare a una maratona resterà il sogno della vita, che non ci riusciremo mai, che non siamo tagliati per correre. Pensiamolo pure, purché il giorno dopo ritorniamo in strada a correre e fare fiato e resistenza. E poi il giorno dopo ancora, e poi ancora.

A scrivere si impara così: scrivendo. E se proprio non si sa da che parte cominciare, se il foglio bianco è quel mostro che proprio non riusciamo ad affrontare, iniziamo con la cosa più semplice in assoluto. Servono una manciata di minuti, un foglio e una penna. Un argomento, anche, o anche no. Scrivere, riempire tre pagine, tutte le mattine. La scrittura va riscaldata, e allora l’unica cosa che conta è tenere la mano in movimento fino a che tre pagine non sono piene di parole, senza mai avere alzato la mano dal foglio. È quello che io chiamo l’esercizio schifezza, quello nel quale non è importate cosa stiamo scrivendo: ciò che importa è che siamo lì, seduti, a scrivere.

Chi scrive è come se avesse due anime, quella del creativo e quella del critico. Necessarie entrambe, ma ognuna entro i suoi limiti. Quando si inizia a scrivere l’anima critica è quella che proprio non ci serve. Sta lì a dirci che quanto abbiamo scritto è brutto, i verbi non concordano, l’immagine non è nitida come dovrebbe, la frase è sbilenca, la grammatica è in vacanza, che non saremo mai capaci di fare meglio. Noi gli crediamo, e non scriviamo più.

Vogliamo avviare una relazione stabile con la scrittura? Lasciamo il critico fuori dalla porta, almeno fino a quando non avremo completato la prima stesura del nostro bel manoscritto, quindi per un po’ di tempo ancora. Adesso è il momento dell’anima creativa, del buttare giù parole alla rinfusa, del recuperare immagini e ricordi e tutto quello che vogliamo, è il momento del riempire fogli. Come viene, senza curarcene: è il momento dell’esercizio schifezza.

Scriviamo, e la scrittura verrà da sé. La scrittura si fa con la scrittura.

 



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