06 Feb Fra Polaroid e prima stesura
“Scrivere una prima stesura è un po’ come fare una Polaroid. Non potete sapere come verrà la foto – anzi, non siete nemmeno tenuti a saperlo – finché non è completamente sviluppata.”[1]
La Polaroid è, anzi era, una foto istantanea che ebbe grande successo alla fine degli anni settanta. Allora per fare foto si usava la pellicola e la Polaroid, a differenza delle foto normali che bisognava aspettare che il rullino fosse completo per poterle sviluppare, si sviluppava subito, usciva dalla macchinetta e iniziava a mostrarsi. Tempo pochi secondi era pronta. Nel vedere apparire ciò che avevamo fotografato le sorprese non mancavano. Così capitava che pensavamo di aver fotografato soltanto una barchetta con sullo sfondo un bel mare, e invece quando la foto prendeva colore ci rendevamo conto che in quella foto non c’era solo una barca. C’erano le onde, le nuvole, un promontorio con alberi e case nascoste. Il sole che riverberava sul mare, i gabbiani e un pezzetto di spiaggia nell’angolo in basso che non pensavamo di avere inquadrato. La foto aveva colto particolari che non avevamo visto. La prima stesura è come una Polaroid: mentre scriviamo non sappiamo esattamente cosa sarà, ma mentre andiamo avanti a scrivere cogliamo particolari che troveremo lì, inaspettati, e altri non ne troveremo, rimasti fuori. È questo che deve fare la prima stesura: darci la traccia per iniziare davvero poi a narrare. Fa niente se la scrittura è brutta e scialba e se i personaggi sembrano piatti e se non siamo riusciti a rendere ciò che volevamo come volevamo. È a questo che serve la prima stesura, a dare una prima bozza. Il vero lavoro di scrittura inizia da qui.
[1]Lamott Anne, Scrivere, De Agostini, Novara, 2011, pag. 20, pag. 62