E intanto che ciò accade, rifiorisco

Qualche giorno fa, durante una delle lezioni sulla scrittura del memoir che tengo in Unipop, ho detto una cosa che a me sembrava banale, ma che così banale non è apparsa se fra chi mi ascoltava qualcuno mi ha chiesto di ripetere il concetto e poi di parlarne ancora.
 
Quel che affermavo è che per vivere e stare bene basta poco, basta soltanto che ognuno di noi faccia tesoro di chi siamo, della nostra storia e del nostro presente.
 
Accade che affrontiamo la nostra vita quasi con sospetto, quella vita che è in un certo modo e noi la vorremmo in un altro, che non ci ha dato e non ci da quel che vorremmo e avremmo voluto, che sentiamo sempre un po’ più storta rispetto quella degli altri.
 
Arriviamo a trattarla da stucchevole estranea, per citare la poesia di Kavafis, portandocela dietro quasi con fastidio, come non ci appartenesse. Quando invece basterebbe accoglierla per quel che è, qui, adesso.
 
Ripeto: quel che è, qui, adesso.
 
Abbiamo diritto e anzi, direi, il dovere di agire tutto il necessario perché sia migliore, perché sia più sana e felice e soddisfacente.
 
Intanto che mi impegno a migliorarla, però, oggi, qui, adesso, accolgo la mia vita e accolgo me, amo la mia vita e amo me. Faccio tesoro di chi sono, della mia storia e del mio presente. E intanto che ciò accade, rifiorisco.


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