26 Ott Di cosa parliamo quando parliamo di Scrittura Riparativa
Chi scrive di sé è persona appassionata e tenace. Sa che occorre molto coraggio e determinazione per star lì a farsi domande, recuperare pezzi di vita, dare forma a memorie anche antiche e mettere tutta questa materia nero su bianco. Molto più facile sarebbe scrivere di altro da sé, e nessuno vieta di farlo. Ma se è la strada del memoir che vogliamo percorrere, quella strada che ci permette anche pacificazione e perdono, dobbiamo passare attraverso la difficoltà e la fatica dell’affrontare anche le nostre parti nascoste e i nostri dolori non detti. Non tutti sono disposti a mettersi in gioco così a fondo, ma chi prende questa strada e arriva fino al traguardo di avere una storia compiuta dentro un manoscritto, sa che avrà fatto quanto di più grande potesse fare per sé, e di riflesso per il mondo che lo circonda: diventare pienamente sé stesso.
Siamo ancorati in porto, al sicuro, a bordo della nostra barca a vela. Non importa che sia un laser o un 12 metri. Ha le vele, il timone, la deriva: ha tutto ciò che ci occorre per prendere il mare. Prendere in mano la penna per scrivere di sé è come armare la barca con l’intenzione di uscire dal porto e iniziare a navigare in mare aperto. Potremo percorrere poche miglia, e rifugiarci entro sera in un altro porto. O potremo attraversare l’oceano e navigare al di là dell’orizzonte, andare verso un mondo e una terra che sappiamo che c’è ma che per molta parte della navigazione non potremo vedere.
Potrà essere un viaggio piacevole, vento quanto basta e sole che mette allegria, le strida dei gabbiani a far da sottofondo. Oppure faticoso e lungo, quando saremo soli e governare la barca sarà dura e non potremo lasciare il timone nemmeno di notte perché è in arrivo tempesta. Oppure dovremo subire la bonaccia che ci blocca su un mare piatto e infinito, e la sensazione che da quella stasi non usciremo più.
Potremmo rimpiangere la calma piatta del porto, quando la navigazione sarà così dura che avremmo voglia di mollare. Ma saranno momenti. Sono le memorie che emergono, quelle con le quali dobbiamo fare i conti; memorie che chiedono di essere accolte, ascoltate, poi conservate o abbandonate. La chiave di questa navigazione, la chiave dell’esperienza di scrivere di sé è nascosta dentro una sola parola: scegliere. Scegliere di provare e fidarsi. Scegliere di andare fino in fondo. Scegliere di volersi prendere cura di sé. Scegliere di guardare davvero chi si è. Scegliere di avere consapevolezza. Scegliere di riparare quanto nella vita ci ha fatto male. Scegliere di diventare se stessi.
La Scrittura Riparativa™ è la barca che naviga, noi il marinaio che la governa. Il mare sono i nostri ricordi, la nostra memoria. Il porto di partenza è chi eravamo, il porto successivo chi intanto siamo diventati. Il viaggio non ha una durata fissa né definita: ogni viaggio avrà le sue tempeste e le sue bonacce, i suoi scali, la sua rotta, i suoi imprevisti, i suoi approdi. Ogni viaggio sarà unico.
La Scrittura Riparativa™ nasce da un’intuizione, dal bisogno di coniugare la pratica della scrittura con il percorso di scoperta e realizzazione di sé, del sé più vero e profondo. Spesso un’intuizione è soltanto un momento di coscienza di qualcosa che già c’era e però ancora nessuno aveva colto, il palesarsi di un frammento di quelle conoscenze che vivono depositate in un altrove cui spesso non sappiamo connetterci. A me è successo questo.
Quando mi è venuta l’idea di fare della scrittura un’attività non soltanto creativa ma anche riparativa, non sapevo che già da anni questa modalità di scrittura fosse studiata e applicata. Di scrittura come riparazione si parlava già da molto tempo, e i diversi nomi usati ne celano sfumature. Freud ha scritto delle proprietà riparative e terapeutiche della scrittura parlando appunto di scrittura come riparazione, e di studi e scritti sulla scrittura “che cura” ce ne sono ormai tanti. Le storie che curano di Hillman, Ogni vita merita un romanzo di Erving Polster, Guarire con la scrittura di Jean-Yves Revault, Scrivere l’indicibile di Sampognaro sono soltanto alcuni esempi di libri che hanno approcciato diversi aspetti della scrittura che affronta i traumi con l’intento di risolverli. L’idea che la scrittura serva a sciogliere traumi e migliorare la vita quotidiana di chi scrive – in termini di maggiore serenità, minore esposizione alle malattie, addirittura nel miglioramento del sistema immunitario – approda nei laboratori dell’università di Austin, nel Texas, grazie a James Pennebaker, viene testata e diventa certezza scientifica. Da queste ricerche appare evidente come recuperare la memoria dei propri traumi, riviverne le emozioni e scrivere tutto ciò che emerge abbia un effetto catartico e curativo.
La Scrittura Riparativa™ si inserisce quindi in una lunga tradizione di studi, e vuole offrire un modo, semplice ed efficace, per affrancarsi da un passato dolente, riprendere il fiato e l’energia necessari a vivere pienamente il presente e costruire il futuro. Poco per volta, in un percorso che viene calibrato sui bisogni e le difficoltà della persona che scrive, si affronta la propria storia e quanto di essa è stato archiviato e mai più riportato alla superficie, ma anche i ricordi invece troppo ricorrenti che diventano negativi pensieri circolari. Si fanno i conti con luoghi, persone, sentimenti, incontri, relazioni, accadimenti. Si aprono porte su stanze buie e odoranti di chiuso dove sembrava che la luce non dovesse più arrivare; per troppo tempo siamo rimasti lì, fermi a fissare la maniglia, indecisi se dare voce al desiderio di entrare o a quello di fuggire. Adesso invece apriamo quelle porte, e una volta superata la paura ed entrati in quelle stanze possiamo scegliere e decidere se è meglio per noi che ciò che vi stava chiuso dentro riprenda vita e colore, o se invece è il caso che quei ricordi restino lì, tornino ad essere sepolti in una polvere che non ci sporcherà più le mani. Potremo finalmente staccarci da quella porta e richiuderla per sempre, senza rimpianti e senza più sentircene attratti.
Scrittura Riparativa™ non organizza corsi per insegnarvi a scrivere, non vi promette una carriera da grandi romanzieri, non intende svelarvi il segreto necessario a scrivere il nuovo best seller, quello che tutti gli editori aspettano. Non sono queste le premesse e le promesse di Scrittura Riparativa, non è di “merce” scrittura che qui si tratta.
Chi si avvicina a Scrittura Riparativa™ non è un cliente cui vendere un’illusione. È una persona, semplicemente. Con sogni, difficoltà, incertezze. Emozioni. Con una storia e un futuro. E la scrittura che propone Scrittura Riparativa™ non è un modo per trattarvi da aspiranti scrittori ammaliati dal sogno della pubblicazione, ma lo strumento per riprendere in mano la vostra storia e la vostra vita. Senza dover per forza diventare romanzieri.
Ecco, Scrittura Riparativa™ non ha a cuore il prodotto, ovvero ciò che scriverete. Che potrà anche essere bellissimo e degno di essere poi sottoposto a una lettura professionale, ma non è questo l’obiettivo. Scrittura Riparativa ha a cuore voi che scrivete, le emozioni che mettete in gioco, la vostra voglia e il vostro bisogno di pacificarvi con pezzi di voi e della vostra vita che sono lì e chiedono di emergere.
Non è un caso che in Scrittura Riparativa™ più che di corsi si parli di laboratori e workshop. Non è soltanto una differenza di definizione: nei corsi di solito c’è qualcuno che insegna, e qualcun altro che impara. Nei laboratori e nei workshop, come vengono intesi qui, non si insegnano tecniche, anche se di sicuro imparerete tanto sulla scrittura, ma ci si mette in gioco a partire dalle emozioni. Si lavora tutti insieme a costruire un percorso, a elaborare un vissuto, a progettare un cambiamento. Tutti insieme, e ognuno per ciò di cui ha bisogno.
A questo punto, una precisazione: se in Scrittura Riparativa™ non si parla di corsi, perché quello in Unipop è un corso? Per la ragione che, essendo in tanti a seguire gli incontri, sarebbe fuori luogo – e anche pericoloso per la persona che dovesse esporsi – trattare delle emozioni del singolo. In un’aula affollata di persone che non si conoscono e che possono essere diverse di volta in volta non si può stabilire il clima di accoglienza e fiducia necessari a poter esporre emozioni. Quindi, per garantire la giusta protezione alle emozioni di ciascuno, negli incontri di Unipop il lavoro sulle emozioni non sarà un lavoro di esposizione e condivisione, ma sarà un lavoro personale, privato, come è giusto che sia fra persone che non hanno confidenza fra loro.
Nei workshop e nei laboratori, invece, dove le persone formano un gruppo coeso di non più di dodici e la fiducia reciproca è alla base del patto che fa di quelle persone un gruppo, alla base del lavoro di scrittura e recupero delle emozioni c’è proprio la condivisione di memorie, emozioni, brandelli di vita.