Comunque scrittori

“Esorto a scrivere chiunque ne senta la vocazione. Solo, voglio che chi decide di farlo sappia che vedersi pubblicare un libro è meno emozionante di quanto si pensi. Scrivere, invece, sì che lo è. (…) Scrivere è già una ricompensa di per sé.”[1]

Sentiamoci scrittori, anche se è la prima volta che teniamo la penna in mano: se non ci immaginiamo nei panni di ciò che vogliamo essere e fare, difficilmente potremmo indossare quei panni. Pensate le botteghe artigiane del passato e i ragazzini che andavano a imparare a dipingere o intagliare o tessere. Erano garzoni di bottega che mai si sarebbero sognati di definirsi già pittori o intagliatori o tessitori, però immaginavano di esserlo.

Immaginiamoci scrittori, senza che il mondo sappia.

Non importa se scriviamo per noi stessi o perché vorremmo che altri ci leggessero, ciò che importa è che scriviamo, e che ci sentiamo adeguati a farlo. Non scriviamo per pubblicare, è un’idea o un desiderio che potrebbe rovinare il nostro accostarci alla scrittura: ci metteremmo addosso il giudice, e non ci serve. Scriviamo per raccontare la nostra verità, per mostrare agli altri, ma ancor prima a noi stessi, quel che i nostri occhi vedono e le orecchie sentono e le mani toccano.

Poi potrà anche accadere che quel che abbiamo scritto sia talmente buono che sarebbe il caso di farlo leggere a un editor o a un agente letterario, ma sarà qualcosa che verrà dopo, e non solo nel tempo. La nostra motivazione è scrivere, mettere noi stessi nelle nostre parole, raccontare la realtà dal nostro punto di vista. Già questo ci renderà felici.

[1]Lamott Anne, Scrivere, De Agostini, Novara, 2011, pag. 20

 



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