30 Lug Lettera a mia madre (4)
Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Non abbiamo smentito Tolstoj. Avevamo un nostro modo di essere infelici, e nel nostro modo eravamo bravissimi.
Eravamo una famiglia, nella nostra vita quotidiana che fuori casa appariva quella di una normale famiglia piccolo borghese. Tu e tuo marito avevate il vostro lavoro, i vostri figli sono andati a scuola, poi l’università e la laurea. I matrimoni. Natale e Pasqua insieme. I nonni che venivano a trovarci o noi che andavamo da loro. Le frequentazioni con gli amici, le gite, le vacanze.
Tutto normale quel che si vedeva.
Dentro casa però era diverso. Le liti, le urla, i ricatti, i pianti e le prese di posizione, le botte, i rapporti di forza, i giochi di potere e l’indifferenza, tutto era ben nascosto dentro le mura di casa, tutto doveva rimanere fra quelle mura. Nessuno fuori doveva intuire ciò che avevamo lasciato e che avremmo ritrovato. Tutto ciò che accadeva doveva rimanere inconfessato, che mai si sospettasse che non fossimo la famiglia che volevi fare apparire. I segreti di quel vivere cattivo sigillati come finestre in attesa di un tornado. Volevi mostrare che la tua era una famiglia come è bene che siano le famiglie, unita e amorevole. Avevi bisogno di crederci tu per prima.
Adesso, a pensarci, mi domando quanto ti sia costato mentire a te stessa. Cosa ti dicevi nei momenti in cui eri sola, quanto ti consentivi di ammettere. Avevi voluto credere che sposando quell’uomo avresti potuto avere quell’amore che avevi già incontrato e perduto, che potesse essere una seconda occasione per quella quieta vita domestica cui aspiravi. Hai compreso ben presto che così non sarebbe stato.
Di quella famiglia restano i due figli. Persone adulte, ognuna con le proprie storie di ulteriori famiglie infelici create e poi – la fortuna a volte assiste – disfatte.
C’era stato un altro figlio. Mi avevi raccontato che era morto subito dopo il parto, che il parto era stato a Petralia in casa dei nonni, che tu stessa avevi saputo che tuo figlio fosse morto dopo che già lo avevano sepolto nella tomba di famiglia. Raccontavi che il funerale passava sotto le finestre di casa, come tutti i funerali in paese, e dal letto in cui avevi partorito ne avevi sentito l’eco, lo scalpiccio lento dei passi sul selciato, il parlare soffocato, il rumore sottomesso dell’auto che trasportava il feretro; non sapevi però che chi stessero accompagnando quel giorno al cimitero fosse tuo figlio.
(continua)