Lettera a mia madre (1)

C’è penombra nella stanza. Sei seduta su una poltroncina bassa, la vestaglia non riesce a ripararti dal freddo.

Sulle gambe hai una copertina rosa e le spalle sono nascoste dentro uno scialle all’uncinetto, uno di quelli che faceva nonna Giuseppina. La vecchia casa della ferrovia è riscaldata dalla stufa a legna in cucina, i pezzi di traversina bruciando arroventano l’aria lì intorno ma la casa sopra la stazione di Trappeto è grande, il tepore nella tua camera da letto arriva a stento.

La poltroncina di cretonne damascato è una delle due che tieni ai piedi del letto. Si usava così negli anni sessanta, l’arredamento della camera ne prevedeva due e un tavolino da toeletta.

Hai scoperto giusto quel po’ di seno necessario. Succhio ad occhi chiusi, tu mi parli. Mi guardi, anche. Lo vedo come se oltre che nelle tue braccia io fossi lì accanto, protagonista e spettatore nello stesso momento. Succhio e con l’indice della mano destra gratto la stoffa della poltroncina, un dito talmente piccino che mi sembra irreale possa essere stato così, l’unghietta lunga abbastanza per poter graffiare.

È il primo ricordo che ho di noi. Forse non è nemmeno un ricordo, dicono che di un’età così precoce non si possa avere memoria. Eppure io lo vedo. Resiste, a dispetto di molto altro che negli anni ho lasciato andare via o è soltanto svanito.

Cosa può essere, se non è un ricordo?

Forse sono i tanti racconti che mi facevi dei nostri primi giorni.

Rimpiangevi il tempo in cui non ti opponevo ancora una mia volontà e tu potevi governarmi come meglio credevi, potevi nutrirmi e portarmi con te e esibirmi felice e mettermi addosso i vestiti che sceglievi e fare tu per me tutte le scelte che di ogni giorno fanno la vita.

Ti è mancato, poi, quel mio essere bambina. Me lo hai poi ripetuto tante volte. Quant’era bello quando eri piccola e ti tenevo con me e facevi quello che volevo io senza discutere, dicevi.

Avresti voluto figli che rimanessero bambini per sempre, ma sono cresciuta e diventata adulta. È uno dei tradimenti della vita, uno di quelli cui è meglio rassegnarsi subito: il tempo passa e chi ci vive intorno cambia fino a rivelarsi differente da ciò che pensavamo potesse essere. Gli altri non sono come li avremmo voluti.

Nemmeno i figli.

Nemmeno i genitori.

 

(continua)



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