05 Nov La malvagità
Da quasi fastidio parlare di malvagità. Sogniamo un mondo in cui tutto vada bene, in cui siamo presenti e benvoluti, in cui le nostre emozioni vengono accolte o, quanto meno, rispettate, e invece… Invece ci troviamo anche ad avere a che fare con la malvagità.
La malvagità ha diverse facce.
C’è la malvagità esibita, che esterna e mostra e gode del male che riesce a fare.
C’è la malvagità del nascondersi, del mantenersi acquiescenti, del non dire per non essere compromessi.
C’è la malvagità del perseguire solo i propri scopi, senza alcun interesse anzi con disprezzo di tutto ciò che non collima con quei personali scopi.
C’è la malvagità del sentirsi sempre dalla parte del giusto in un mondo in cui tutte le responsabilità sono altrove.
C’è la malvagità del cuore che si nasconde dietro atti neutri o forse anche fintamente benevoli.
Queste facce della malvagità, e altre ancora, le ho trovate in Iddu, un film che spiazza, che mette a nudo la malvagità non solo di chi è dichiarato e riconosciuto malvagio, in questo caso il mafioso eterno latitante Matteo Messina Denaro, ma anche del mondo di connivenze che quella latitanza ha permesso. Connivenze che non sono solo in chi gli stava vicino, in chi lo serviva e lo accudiva. Connivenze, e malvagità, che sono in chi ha fatto sì che quella latitanza potesse avere luogo.
Malvagità che si ritrova anche nella figura, grottesca e proprio per questo autentica, di Catello, politicante fatto e fallito, padrino di Matteo, che si muove fra verità e menzogna senza più capire lui stesso dove sia l’una e dove l’altra, che si vende pur di ottenere benefici. Che non esita a mettere in campo forse la peggiore delle malvagità, la malvagità dell’ignave.
È un film che non fa sconti, che usa il linguaggio della commedia e del grottesco perché irridere può essere ancor più significativo del condannare. Un mafioso si fa un vanto di una condanna, ma non tollera d’esser preso in giro. Invece qui, ed è questo uno dei tanti pregi del film, quel mondo di piccole e grandi connivenze che viene mostrato diventa anche obiettivo di scherno.
E poi le domande, cui il film immagina risposte, su come sia stato possibile che una latitanza potesse durare trent’anni, su come siano interpretati la solitudine e il senso paterno, il bisogno di esserci e di relazioni, di avere un pubblico pur rimanendo nel buio.
È un film che si ispira alla peggior cronaca del nostro paese e, come fanno le grandi narrazioni, crea un mondo immaginario ma non per questo meno reale. Perché, come scrivono i registi, la realtà è un punto di partenza, non una destinazione.
Mi auguro, e ti auguro, che tu vada a vederlo: merita tempo e attenzione, anche per il suo essere profonda denuncia civile. è uscito il 10 ottobre, in tutt’Italia. Vedilo, e poi scrivimi cosa ne pensi.