13 Nov Essere nata, risposi
Prima media. Bussano alla porta dell’aula, appare il preside. Scattiamo tutti in piedi, dritti e silenziosi. Accompagna due persone, un uomo e una donna, che mai avevamo visto. Sono due psicologi, ci dice presentandoli, la vostra classe è stata scelta perché vi sia sottoposto un questionario, risponderete a domande per una ricerca importante, così ci dice il preside.
Il professore ci dà licenza di sederci, noi mettiamo da parte libri e quaderni, ci scambiamo sguardi sorpresi e sorrisi imbarazzati, aspettiamo. L’uomo e la donna passano fra i banchi, distribuiscono dei fogli, danno le istruzioni. Non avrete un voto per quello che scriverete – dicono – nessun professore leggerà, soltanto noi conosceremo le vostre risposte, ma non le racconteremo a nessuno. Scrivete la prima cosa che vi viene in mente, non esiste una risposta giusta o sbagliata, esiste la vostra risposta.
Adesso so che quelle si chiamano domande a risposta aperta, che era un questionario per misurare il disagio. All’avanguardia, per essere a metà degli anni ’70.
E sono le stesse istruzioni che oggi do a chi scrive con me: non c’è un modo giusto o sbagliato di scrivere, c’è il tuo modo. Non c’è una risposta giusta o sbagliata, un percorso giusto o sbagliato: c’è la tua risposta, c’è il tuo percorso. E nessuno leggerà ciò che scrivi, le tue parole e il tuo indicibile resteranno a te, perché è di scrivere che hai bisogno, non di esporti.
Di tutte le domande che quel giorno ci fecero ne ricordo soltanto una: Quale credi sia stato il tuo più grande errore?
Non ebbi esitazione a scrivere. Essere nata, risposi.